Il 5 ottobre 1990 venne firmata la Carta di Treviso, risultato del lavoro comune di Ordine nazionale dei giornalisti, Federazione nazionale della stampa e Telefono Azzurro, che misero insieme un gruppo di lavoro con giornalisti, magistrati ed esperti di pedagogia. Un testo che si ispirava alla Convenzione internazionale dei diritti dell’infanzia, approvata dall’assemblea generale dell’Onu il 20 novembre del 1989 e ratificata all’Italia un anno dopo il varo della Carta di Treviso.
La Carta aveva e ha come obiettivo primario il bilanciamento fra due diritti costituzionali: quello previsto dall’articolo 21, sulla libertà di pensiero, dal quale deriva il diritto-dovere di cronaca, e quello dell’art. 31, che afferma che l’Italia “protegge l’infanzia”, senza dimenticare l’art. 2, che “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”. Obiettivo di fondo della Carta, pur salvaguardando il diritto di cronaca, è la difesa primaria dell’identità, della personalità e dei diritti dei minorenni vittime o colpevoli di reati, o in qualche modo coinvolti in situazioni che potrebbero comprometterne l’armonioso sviluppo psichico.
I lavori preparatori della “Carta”, risalgono alla primavera del 1989, sulla scorta di una serie di clamorosi casi di cronaca che coinvolgevano minori, le cui vicende trovarono spazio, in modo discusso e discutibile, su giornali, riviste e televisioni. Il fatto che, nonostante l’approvazione della Carta, e nonostante le sanzioni inflitte, l’atteggiamento complessivo dei media nei confronti dei minori non mutasse, superando spesso i limiti delle nuove norme deontologiche, portò, nel novembre del 1995, al varo del “Vademecum 95”, frutto, anche questo, del lavoro comune delle organizzazioni dei giornalisti e Telefono Azzurro. Un documento che ribadiva con forza le prescrizioni della Carta di Treviso.
Il 30 marzo del 2006 la Carta è stata aggiornata tenendo conto dei mezzi di comunicazione digitali e dal 2016 fa parte integrante del Testo unico dei doveri dei giornalisti. E’ norma di legge a tutti gli effetti, anche se di rango secondario, ed è presa come riferimento non solo nei procedimenti disciplinari avviati dal’Ordine professionale, ma anche nei normali giudizi di legittimità. Ed è, infine, stata oggetto di attenzione sia da parte dell’Onu, nella cui sede è stata presentata nel 2009 in occasione del ventennale della “Dichiarazione del diritti del fanciullo”, sia da parte dell’Unione europea, che l’ha presa in considerazione fra i documenti base per una futura e possibile carta europea su informazione e minori.
A trent’anni dalla nascita e con queste revisioni sulle spalle, la Carta di Treviso conferma dunque la sua validità ma al tempo stesso testimonia della necessità di un continuo e rapido aggiornamento degli strumenti normativi a supporto di quella delicata fascia di popolazione rappresentata dai minori. A questo stanno lavorando l’Ordine, ma anche Telefono Azzurro e gli altri protagonisti della prima stagione di questa normativa, puntando a una nuova revisione della carta e ad altre iniziative.
Se infatti trent’anni fa aveva senso rivolgersi, nel campo dell’informazione, a una platea rappresentata sostanzialmente dai media tradizionali, oggi non è più così. Siamo nell’epoca della disintermediazione, dove sempre più spesso sono gli stessi fruitori dell’informazione a produrla e a diffonderla e il “mediaverso” non è più solo appannaggio del giornalismo e dei mezzi di comunicazione che erano di fatto gli unici players in questo campo tre decenni fa. Paradossalmente accanto alla disintermediazione, l’unica forma di mediazione è quella che si occupa di convogliare i contenuti con l’unico obiettivo del ritorno economico, senza alcun interesse a valutarli o filtrarli.
È una situazione fluida, che complica le cose, in quanto le norme deontologiche sono di fatto cogenti solo per gli iscritti all’Ordine, mentre i diffusori di news e commenti si moltiplicano e pur essendo spesso “percepiti” come giornalisti, in effetti non lo sono e procedono secondo canoni assolutamente personali e irrituali, sia sul web che sui social che in televisione. Proprio per questo è importante rendere distinguibile dal rumore di fondo il giornalismo vero, che anche attraverso il rispetto della deontologia sappia costruire la propria autorevolezza e la propria credibilità.
Dario Corradino
1 marzo 2022