“Se avessi convinto i miei colleghi delle altre testate a non diffondere la notizia, avrei potuto non pubblicarla”. Alberto Infelise, caporedattore cultura de La Stampa, ha raccontato l’evento che ha cambiato la sua visione della cronaca dei casi di suicidio. Lo spartiacque di Infelise è a Roma, dove lavorava, da giovane cronista, per il Messaggero. Il caso: il suicidio di una persona della sua età. Essersi trovato di fronte, per primo, ai familiari paralizzati dal dolore, dover parlare con loro e accogliere le loro reazioni – di rabbia, di disperazione – lo spingono, quella volta, a rischiare. E ad assecondare la loro richiesta di non scrivere nulla. Il caporedattore del giornale per cui lavorava ai tempi non reagisce bene, da principio. Ma poi, dopo una sfuriata, ci ripensa e accetta la sfida. A una condizione: nessun’altra testata avrebbe dovuto pubblicare la notizia. Alberto Infelise riesce a convincere tutti i suoi colleghi, tranne uno (che peraltro traviserà in parte i fatti). E comprende così che nella narrazione di questi eventi serve un cambiamento.
Dalla fine degli anni ’90 a oggi, le regole di comportamento a cui si sono orientate le redazioni per i casi di suicidio sono cambiate, e molto. Oggi si fa molta più attenzione alla dignità della vittima, dopo anni in cui i cronisti di nera “dovevano” ottenere in ogni modo la foto dei suicidi, insistevano sui particolari, ne rendevano pubblici dati sensibili e storia senza troppa pietà. Alberto Infelise ha raccontato questo cambiamento nell’intervento introduttivo del corso “Media e suicidio: come informare in modo responsabile”, tenuto presso la sede de La Stampa e organizzato dal Master in Giornalismo di Torino nell’ambito di un più ampio programma sui temi della diversità, a cura di Pasquale Quaranta, Diversity Editor del giornale e del Gruppo Gedi.
“Queste storie – dice Infelise – servono a farci capire che i cambiamenti nel modo di fare giornalismo non devono arrivare solo dall’alto, ma devono nascere innanzitutto nelle redazioni da parte di noi giornalisti. Siamo chiamati a porci in maniera sempre nuova di fronte alla realtà. La nostra sensibilità deve cambiare con quella dei lettori ed è importante che attraverso le discussioni e i no, la nostra sensibilità di giornalisti cambi e cambi, di conseguenza, anche il modo di fare i giornali, su carta o sul web”.
Perché è stato difficile – e forse resta difficile – cambiare, spendere una sensibilità diversa nel modo di fare cronaca?
“Fare una cosa diversa rispetto agli altri è più difficile per diversi motivi. Ti metti in gioco personalmente e fai cose che non erano state fatte prima sperando che gli altri accettino questa cosa. Fare cronaca “come si è fatta sempre” è la cosa più facile di tutte, infatti una delle frasi più terribili che può echeggiare nelle redazioni è “abbiamo sempre fatto così”. Ma venti anni fa si facevano cose che ora non si possono più fare e non perché non ci fanno fare quello che vogliamo, ma perché sarebbe sbagliato. Ora, ad esempio, continuiamo ad avere una serie di gravi problemi di parità di genere nel lavoro. Oggi, che una donna scriva di cronaca nera non è più “strano”. Parte del nostro compito è migliorare ciò che è stato fatto il giorno prima».
Come devono porsi i giornalisti per raccontare di casi di suicidio?
“È difficile che le persone attorno a un aspirante suicida possano essere determinanti nell’impedire il gesto. Ma è importante che noi, come giornalisti, facciamo attenzione a non fare qualcosa di sbagliato. Un tempo eravamo addirittura noi, nei pezzi di cronaca, a fornire le istruzioni su come suicidarsi: descrivevamo dettagliatamente come una persona si era uccisa. Non andava bene. Altra cosa importantissima è che non si parli di questi gesti come di gesti estremi di coraggio o, all’opposto, di viltà. In passato, si oscillava tra la narrazione del suicidio come gesto eroico di chi rifiutava una grande ingiustizia o quella contraria, del suicida come vile che non reggeva le pressioni della vita. Ora, per fortuna, non si fa più. E credo siamo su una buona strada”.
di Alberto Santonocito
1 febbraio 2024