La Carta di Treviso – elaborata nel 1990 da Telefono Azzurro, Federazione nazionale della Stampa Italiana e Ordine dei Giornalisti – ha permesso di fare ordine nei rapporti tra infanzia e informazione, mondi con esigenze diverse ma al contempo da proteggere. Ordine dei giornalisti e Telefono Azzurro stanno lavorando a un aggiornamento. E un recente convegno ha permesso di allargare il cerchio della salvaguardia di bambini e adolescenti in Rete. Secondo Ernesto Caffo, fondatore e presidente di Telefono Azzurro, il percorso della Carta e le nuove frontiere del rapporto tra minori e stampa hanno ottenuto risultati importanti, ma il mutato scenario della comunicazione orizzontale mette tutti di fronte a nuove sfide. Con un obiettivo su tutti: tutelare i ragazzi e le persone fragili con un’informazione più sensibile e attenta ai bisogni della comunità.
Caffo, che cosa rappresenta la Carta di Treviso e a cosa serve?
“La Carta è nata da una riflessione che ha coinvolto gli enti partner: da un lato i grandi esperti della comunicazione e i giuristi, dall’altro chi si occupa di infanzia. Si è cercato di capire come tutelare i più piccoli nel mondo dell’informazione, rimarcando il fatto che le loro immagini e i loro dati personali non possono essere utilizzati per suggestionare o esasperare e far vendere qualche copia in più ai giornali. La Carta ha portato i giornalisti a darsi delle regole, e, cinque anni dopo, attraverso il Memorandum, abbiamo coinvolto il mondo della televisione e dei nuovi media. In questo lungo cammino che ha permesso alla Carta di entrare far parte del Codice deontologico dei giornalisti, abbiamo assistito al passaggio verso il Patto di Treviso. Si tratta di uno strumento nuovo, che abbiamo sviluppato a novembre 2021 dopo una riflessione che ha ammesso al tavolo anche le grandi aziende tecnologiche e l’Autorità del Garante sulla Privacy. Vogliamo costruire un percorso che guardi a come i bambini possano essere tutelati nel mondo dei media e a come renderli protagonisti. Nelle scuole si parla del loro diritto di formazione: è questo uno degli aspetti più importanti del percorso dalla Carta di Treviso al Patto”.
Qual è stato il valore della Carta in questi 30 anni e a che cosa ha portato?
“Sul piano operativo è stata utile perché ha creato, con alcuni casi e alcune sentenze, una cultura del rispetto del bambino della sua immagine. All’interno delle redazioni ha permesso ai giornalisti di essere formati. Nel tempo è diventata un punto fermo, non solo nella tutela dei diritti dei bambini e delle persone fragili, in un processo di riflessione che è poi diventato cultura. Oggi che la comunicazione è immediata e non è più legata a catene professionali ma a singoli soggetti, bisogna fare alcune riflessioni anche con gli specialisti del settore per bloccare certe immagini che portano all’uso strumentale dell’informazione con riguardo ai casi di violenza”.
Nella Carta si parla di intervenire in maniera preventiva, in modo da fornire ai bambini gli anticorpi per reagire ai rischi che si possono nascondere nella Rete. Quali sono i pericoli per i minori, online?
“La Rete è una grande opportunità per conoscere e creare relazioni, oltre che per vivere una vita in cui si passa dalla conoscenza al gioco fino all’uso del denaro. In questo ambito non si è mai preparati abbastanza nell’affrontare certe sfide, e spesso il percorso in Rete si compie da soli, con tutti i rischi del caso. L’obiettivo è creare una cultura di prevenzione. E analizzare, ad esempio, gli algoritmi che intercettano i nostri comportamenti e agiscono secondo finalità commerciali. Dobbiamo essere consapevoli della necessità di costruire delle regole che permettano una vita adeguata a tutti nel mondo del digitale, estraneo a regole e consuetudini”.
In che direzione si sta muovendo il confronto per aggiornare la Carta?
“Si sta cercando di creare un rapporto solido con il mondo dell’informazione, che da anni si è allargato. Vogliamo coinvolgere anche gli utenti della Rete e capire come rispondere alle loro esigenze. A novembre avevamo con noi ragazzi di tutta Italia, e abbiamo condiviso con loro il bisogno di essere tutelati dal mondo dell’informazione”.
In proposito, come si può orientare l’alleanza con il mondo dell’informazione per applicare le regole in concreto?
“Le cose vanno fatte in modo globale, non settoriale o locale. Già l’Europa è piccola. Oggi riceviamo informazioni da tantissimi canali, che hanno sede in tutte le zone del mondo, e non è semplice avere regole per tutti. Deve esserci la consapevolezza che oggi i ragazzi sono travolti da tutta una serie di messaggi, alcuni dei quali negativi. Alcuni Influencer parlano online di suicidi. Tutto questo merita attenzione. Questo tema, in bilico tra controllo e privacy va considerato centrale, per questo bisogna agire in sinergia con i professionisti del settore e parlare con i ragazzi”.
Sul tema dei suicidi come ha agito Telefono Azzurro in relazione al ruolo della stampa?
“Ce ne occupiamo da tantissimi anni. In molti poli di informazione dei ragazzi, da Facebook a Netflix e Tik Tok, quando si parla di tentativi di suicidio o idee suicidarie si dà l’informazione di chiamare Telefono Azzurro. Un ragazzo che ne ha bisogno deve poter chiedere aiuto, sapendo di trovare una rete di supporto. Parlare di ogni singolo caso di suicidio è sempre molto delicato e rischioso: bisogna concentrarsi sui comportamenti e i disagi che possono condurre al suicidio come riflessione da portare nel mondo degli adulti e nelle scuole. Bisogna parlarne, con molta attenzione, evitando il racconto del singolo caso, ma fornendo una dimensione globale”.
Avete pensato di fornire linee guida per il mondo dell’informazione?
“Dobbiamo formare anche chi si occupa di fare informazione su questi episodi: spesso la cronaca prevale sull’informazione e questo non va bene. L’informazione dovrebbe essere più sensibile e rispettare le esigenze della comunità”.
Quali sono i progetti di Telefono Azzurro a proposito della campagna di informazione contro i suicidi?
“Puntiamo a organizzare dibattiti nelle scuole con i ragazzi sul tema del “gioco nella Rete”. Puntiamo al rilancio della Carta di Treviso, e per questo stiamo sviluppando idee per riuscire ad arrivare a nuovi punti di impegno comune da sviluppare guardando all’Europa. Per questo ad aprile saremo a Bruxelles, per presentare il Patto di Treviso. In generale, bisogna compiere controlli sull’accesso dei ragazzi a materiali che non sono adatti a loro. Da un lato è necessario contrastare alcune piattaforme che portano a comportamenti molto negativi, e dall’altra parte cercare modalità di ascolto dei ragazzi. Parlare di salute mentale dei giovani è importante, soprattutto dopo la pandemia che ha creato ulteriori fragilità: questo vuol dire investire sul loro futuro. Non si parla solo di una richiesta di aiuto da accogliere ma anche di gestione di queste situazioni di fragilità che riguardano anche la comunità di adulti che deve farsene carico”.
Alberto Gervasi
1 marzo 2022